ALPE VAIA

ALPE VAIA

 

L’Alpe Vaia si configura come un caratteristico alpeggio di montagna con pascoli circondati da foreste nella parte bassa (1500 m).
La parte alta (2200 m) è caratterizzata da praterie alpine all’interno di un’ampia conca glaciale nel bacino del torrente Vaia (destra orografica della Val Caffaro) con ontaneti sui versanti, formazioni sparse di rododendri e presenze sporadiche di abeti e larici.
Foreste di abete rosso, abete bianco e faggio nelle basse quote.
La conca pascoliva è resa suggestiva dalla presenza di un laghetto ove è possibile esercitare la pesca sportiva.
L’alpeggio conta diversi fabbricati e in questo splendido luogo viene prodotto il formaggio Alpe Vaia e il burro di panna cruda da affioramento.
Il formaggio Alpe Vaia è un formaggio semigrasso a pasta extradura. prodotto con latte crudo e una piccola aggiunta di zafferano solo nel periodo estivo, da Giugno a Settembre, quando le vacche sono in alpeggio.

Attorno all’Alpe di Vaia e all’omonimo laghetto alpino ruota una misteriosa leggenda: C’erano una volta un malghese e un pastore. Come ogni estate, e come ancora oggi succede, anche quell’anno erano saliti con le loro mandrie al laghetto di “Vaia” per la stagione dell’alpeggio. Tra i due, tuttavia, non correva buon sangue e spesso si erano accusati reciprocamente di non saper badare al proprio bestiame: pecore e capre, è noto, non guardano molto i confini segnati dall’uomo e non di rado capitava che le bestie dell’uno o dell’altro invadessero i pascoli altrui. Un certo giorno i due iniziarono a discutere animatamente su chi fosse il migliore nel proprio lavoro. Si sa come vanno queste cose: una parola tira l’altra e, prima di rendersene conto, i due avevano già fatto una scommessa. Il malghese aveva iniziato dicendo al pastore: “Scommetti che riesco ad attraversare il lago dentro una mastella ”; il pastore aveva risposto al malghese: “Se ci riesci tu, ci riesco anch’io!” e tutti e due avevano infine esclamato: “Qua la mano… Scommettiamo!”. In men che non si dica, presi dalla foga del momento, i due stabilirono che il vincitore si sarebbe tenuto tutti i capi della mandria altrui, oltre ovviamente ai propri. Entrambi si resero immediatamente conto di quanto la scommessa fosse stupida, ma da veri montanari, erano troppo orgogliosi e cocciuti per ammetterlo. La prova sarebbe stata fatta comunque e così tirarono a sorte per vedere chi avrebbe dovuto tentare l’impresa per primo. Vinse il pastore. A proposito, la “mastella” è uno di quei recipienti che i casari utilizzano per far depositare il latte ed affiorare la panna: una sorta di grossa padella di legno, non molto piccola ma nemmeno tanto grande. Di sicuro, però, non certo delle dimensioni di una barca. All’inizio la navigazione sembrò andare bene, ma quando fu circa al centro del laghetto il pastore si sporse troppo da un lato e la mastella si riempì d’acqua, affondando in un baleno. Il malghese osservava con orrore il suo rivale cadere a capofitto nel lago ma, non sapendo nuotare, non poté aiutarlo. “Del resto – pensò – una scommessa è una scommessa…” e senza ulteriori indugi andò a prendere le pecore che ormai erano rimaste senza più padrone. Il giorno dopo il malghese si recò sui prati a far pascolare il bestiame, pecore e mucche, quando improvvisamente vide tra l’erba folta sulle sponde del lago un qualche cosa che lo terrorizzò. Era un teschio umano. Una volta ripreso, si avvicinò al cranio e gli sferrò con rabbia un forte calcio, ributtandolo in mezzo al laghetto. Il giorno dopo il malghese andò di nuovo al laghetto con la sua mandria e per la seconda volta trovò il teschio fuori dal lago. Nuovamente, lo rilanciò con rabbia tra le acque. La vicenda si ripeté anche il giorno successivo: il malghese andò al laghetto con la sua mandria, per la terza volta trovò il teschio fuori dall’acqua ed anche stavolta lo ributtò nel laghetto con un calcio.
Il malghese aveva però capito che quel teschio apparteneva al pastore affogato e quella notte, afflitto dai sensi di colpa, giurò che non avrebbe mai più fatto scommesse stupide in vita sua e che avrebbe invece costruito una cappella dove depositare il cranio dello sfortunato concorrente. Non solo: ogni giorno gli avrebbe portato fiori freschi e si sarebbe fermato a recitare una preghiera. Bisogna dire che quel malghese mantenne la parola. Il giorno dopo si mise al lavoro e, ancora oggi, è possibile vedere la piccola santella da lui costruita in località “Crapa di Vaia”.

Se guardate bene, sotto l’affresco che rappresenta la Vergine con San Rocco e San Fermo, potrete ancora vedere il teschio del povero pastore che lì riposa da quel giorno.